giovedì 18 settembre 2008

Echochrome

Dalla nostra anteprima di marzo a oggi non è cambiato nulla: il tasso di sfida di echochrome è proporzionale al volume della sua colonna sonora. Detestare quel ciclico tappeto sonoro fatto di archi "da camera" e voci celestiali, tipico dei salotti aristocratici dell''800 o di una biennale, è questione di dieci minuti, un quarto d'ora al massimo. A quel punto non esistono mezze misure: o si impara a conviverci o, allora, è meglio pensare a echochrome come a un gioco muto. Ma, una volta ammutolito il comparto sonoro, integrare il titolo di Sony con iPod, cuffiette e playlist personale vuol dire vederci chiaro.

PER GENTE DI UN CERTO LIVELLO

Il numero dei "tracciati" disponibili sfonda il muro dei trecento, con tanto di modalità Tela, cioè un editor di livelli per stuzzicare l'ingegno. Si tratta di un gioco nel gioco, dato che plasmare strutture tridimensionali che abbiano un senso (il)logico, secondo le regole di echochrome, si rivelerà un compito assai arduo. Incappare nei paradossi geometrici e dar vita a labirinti del tutto impraticabili ai fini ludici, infatti, è il pericolo più grande da correre.
Le "leggi di prospettiva visiva" che governano il mondo di echochrome, invece, sono ancora cinque e, per gestire al meglio il gameplay, è bene studiarle, comprenderle e impararle a memoria.
La prima è la legge del passaggio in prospettiva e dice che quando due diversi percorsi sembrano toccarsi, si toccano veramente. La seconda è quella dell'atterraggio in prospettiva: se un percorso sembra essere sopra un altro, lo è veramente. Poi la terza, quella della presenza (quando non si vede una fessura tra due percorsi e i due passaggi sembrano collegati, lo sono veramente). La quarta, la legge dell'assenza, asserisce che quando un buco non si vede, vuol dire che non esiste. La quinta, infine, si chiama legge del salto in prospettiva e spiega il perché in seguito a un salto si atterra su quel che c'è sotto.

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