martedì 20 gennaio 2009

[NEXT LEVEL] L'Era del Game 3.0

Il gioco non è un lusso, ma stretta necessità. È un dovere mentale e non un triviale passatempo. L'attività ludica, ancora, è una componente imprescindibile dell'uomo. E la definizione di homo ludens che fornì Johan Huizinga, dunque, ne è autorevole conferma. Nel 1938 lo storico olandese scriveva che "Il gioco è più antico della cultura, perché il concetto di cultura, per quanto possa essere definito insufficientemente, presuppone in ogni modo convivenza umana, e gli animali non hanno aspettato che gli uomini insegnassero loro a giocare"

La cultura di una società, secondo lo studioso olandese, è scritta nei suoi giochi.

Ora, sebbene  il dilagante qualunquismo generalista si mostrerebbe fin troppo lesto nello sgretolare le suddette affermazioni a colpi di maracas, occorre prendere atto che qualcosa sta cambiando. I videogiochi stanno evolvendo in Game 3.0, fondendosi impeccabilmente con il Web 2.0. La cultura, oggi, è quella di enormi community cablate, di user-generated contents (altresì noti come UGC, cioè contenuti generati dall'utente), di milioni di blog, di Facebook e di amicizie elargite all'impazzata, della pubblica vetrina di Myspace, Flickr o, per tagliar corto, di YouTube, che di slogan non ne ha ormai più bisogno.

Ma è anche la cultura della Wii Generation, quella che trasforma le famiglie in Mii e le fa competere (e sudare) nel salotto dei bei sogni, sfruttando interfacce a prova di incapace e sistemi di controllo "gestuali", ben più adatti a chi ancora ti guarda perplesso se gli dici R1 o, peggio ancora, L3. 

La cultura del gioco online, di Xbox Live e PlayStation Network, di WoW e mille sotto di lui, della digital delivery, della realtà che assomiglia sempre più a Gran Turismo, di LittleBigPlanet, del nuovo genere videoludico che porta in grembo (quello degli Happy Tree Editor), di Phil Harrison e di Home. 

E, dannazione si, anche di Will Wright. 


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