
Attenzione: storia di fantasmi, acchiappafantasmi e filosofia.
È cosa nota: il videogiocatore è un individuo "prevalentemente" malato.
E, sebbene l'avverbio sembrerebbe messo lì come mero espediente scenico, sappiate che ciò è quanto di più vero possa essere affermato se interrogati in materia.
Il videogiocatore moderno è un individuo mannaro, affetto da sindromi e manifestazioni patologiche elegantemente raccolte in un catalogo di generi e sottogeneri ludici.
C'è quello da fucile a pompa, lama al plasma o piede di porco. Quello che crede che REZ sia affidabile simulazione di quotidianità o quello che se ne sta ancora nel Vault 101 ad ascoltare brani doo-wop. Quello rannicchiato in Morfosfera da almeno sei mesi e che non vuole saperne di uscire, così da mantenere inalterato e quanto più asettico possibile il livello di coerenza psico-cognitiva con la mappatura ambientale del pianeta. Quello che sputa ordini al microfono, che urla copertura, fuoco senza remore o un improperio a doppia zeta. Il tipico bestione da Gears of War, tanto per capirci, che ci va giù duro negli spogliatoi dopo un Live e che deve crivellare qualcosa o qualcuno almeno una volta a settimana, come briosa striscia di polvere da sparo e adrenalina, sennò dà di matto sul serio.
Poi esiste una bizzarra categoria di videogiocatori raminghi.
Si barricano in maniera senziente all'interno di contesti ludici elitari e religiosamente privati. La sintomatologia dominante emerge da una deviazione votata all'autoerotismo del miglioramento "prestazionale" su un dato tracciato di un dato racing game.
Il primo giro è per lanciarsi, il secondo è per generare un ghost di tutto rispetto e dal terzo in poi è solo godimento, in un certosino lavoro di fino contro sé stessi.
Nella tradizione filosofica esiste una stretta relazione del tempo col pensiero, inteso come riduzione a estensione dell'anima e successione di stati psichici tramite la memoria e l'anticipazione. Il ghost, dunque, muta nel più puro Io digitale, nella migliore rappresentazione attuata del Sé videoludico appena passato e nel superamento dei propri limiti attraverso un'eterea barriera auto-prodotta, auto-imposta. Non esiste un tempo unico e universale per tutti gli eventi fisici e Turn 10 inasprisce il concetto con Forza Motorsport 2: un'irrefrenabile pulsione, da snocciolare giro dopo giro, nella romantica battaglia contro i fantasmi del passato, meglio se al Mugello.
Tempo, insomma, inteso come cronometro. Cronometro inteso come Time Trial. E Time Trial come pratica ludica nella quale è ciclicamente monitorata la propria prestazione ai comandi di un'interfaccia prestabilita. Il ghost funge da asticella morale.