
Data astrale 1993: mentre Alf l'amico alieno (dalle dubbie fattezze maialesche) si alternava alla ciclica messa in onda di Ralph Supermaxieroe e Hazzard nel palinsesto televisivo dell'Italia early 90's, un solo coin-op da salagiochi (la cui frequentazione era preclusa a buona parte degli allora bambini a causa di balorde teorie materne secondo cui “lì si vende la droga e c'è gente pericolosa”) stava inventando il genere videoludico in seguito noto a tutti come picchiaduro ad incontri: Virtua Fighter.
Il tecnicismo riflessivo e maniacale che vantava il titolo Sega, con i suoi incontri one-o-one fondati per un buon sessanta per cento su tensione psicologica e sguardo vitreo (o nel vuoto, tanto era uguale) alla James Dean come a voler veramente studiare l'avversario prima di gettarsi in un feroce quanto vano button mashing, venne affiancato (ma non di certo rimpiazzato) l'anno seguente da uno sbarazzino titolo targato Namco, Tekken per l'appunto, in grado di offrire combattimenti decisamente spensierati e frenetici, di certo irreali, ma carichi di una certa insostenibile leggerezza dell'essere picchiaduro in tempi non sospetti.