mercoledì 17 settembre 2008

Le origini dello stealth (MGS)

Che il balzo temporale (a ritroso) di Snake Eater rappresenti il primo tassello dell'intricata trama di Metal Gear Solid è cosa ormai nota. Ma per tornare alle vere origini del serpente, quando la visuale di gioco era a volo d'uccello e il nome di Hideo Kojima solo una new entry del settore, occorre il disco 2 di Metal Gear Solid 3: Subsistence, marchiato Persistence. Oppure, qualora la vostra passione rasenti picchi di feticismo videoludico, è sufficiente rispolverare il vecchio MSX stipato chissà dove, introdurre nello slot integrato la cassetta contente il software e cercare di ricordarsi i comandi in DOS per il caricamento del gioco. Da qui in poi, ogni sospiro nostalgico è normale prassi, assolutamente comprensibile e giustificata.

Ma, sia che si tratti di pochi sprite datati 1987 o che ci ritrovi a mangiar serpenti nella taiga russa di Snake Eater, il testo di Hideo Kojima risulta sempre assolutamente maturo, intelligente e intriso di significati latenti (o, talvolta, spudoratamente dichiarati). L'appeal di un gioco in grado di "sapersi vendere" alla massa del grande pubblico, inoltre, si fonde con tematiche importanti (la Guerra Fredda, la clonazione, la finzione che destabilizza sia il personaggio giocato che il giocatore, l'introspezione e l'autoreferenzialità) e con un raffinato stile narrativo che mai, sino ad ora e in maniera così invasiva, aveva contaminato il videogioco.
Quella che segue, dunque, è una dovuta celebrazione per la più che ventennale serie di Konami, che ha saputo plasmare un nuovo genere ludico (lo stealth-game) e che, nel corso degli anni, l'ha finemente cesellato, sino alla sublimazione di ciò che sarà (l'ultimo?) capitolo firmato Kojima: Guns of the Patriots.

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