
Se ci si domanda quale sia l'unico limite rappresentativo di ciò che oggi può definirsi videogioco, esiste una sola, possibile risposta: il senso interiore dell'anima umana.
L'evidenza di tutto ciò è offuscata dalla confusione abituale di cui siamo vittime quando crediamo che ogni società, disponendo di rappresentazioni artistiche tecnologicamente avanzate, possa di conseguenza incrementare la propria conoscenza interiore.
È del tutto chiaro che l'artefatto videoludico non si produce, in una società, se non a uno stadio molto avanzato della sua evoluzione, ma al progresso tecnologico non sempre e necessariamente corrisponde un progresso spirituale.
Oggi il videogioco finge di non annegare, becero, in una spazialità digitale intrisa di mero codice binario, del tutto iconografica, incorporea e disumana.
L'eterno gongolarsi nella splendida fiducia al progresso tecnologico, che imbastardisce il raziocinio del giocatore e accentua la lordura sociopatica del geek, è un qualcosa per cui incominciare a manifestare sintomi di nausea e profonda repulsione.
La stampa generalista che teme violenza indotta si danna invano.
Quella che invoca il reato d'odio razziale è perlomeno miope o daltonica.
L'attuale panorama ludico è, in buona sostanza, roba softcore da femminucce.
Emerge giocoforza la figura di un prodotto inutile, incapace di rappresentare nella maniera più genuina e trasparente possibile il mondo perverso che lo genera a ogni anno fiscale.
Riflettere sulla pretesa, filantropica e accademica, di elevare il videogioco al rango delle arti culturalmente valenti, inoltre, muta in una pratica tanto imbarazzante quanto deprimente. Ciò deriva dalle capricciose esigenze di un'industria sempre più fondata sul ritorno economico e su target prestabiliti dagli indicatori di gusto delle masse. La figura tracciata dal videogioco moderno è quella di un prodotto industriale (d'eccellenza, sia chiaro) che a conti fatti si mostra tanto invertebrato quanto scialbo, incapace di maturare, crescere e comprarsi da solo la pizzetta per la ricreazione.
I goffi tentativi di comparazione con l'arte del cinema e della letteratura appaiono limpido motivo d'umiliazione, di cui intimamente vergognarsi in quanto videogiocatori.
Il quadro dei media che se ne (pre)occupano è sconcertante, debilitante.
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